Faccio parte di una specie in via di estinzione: quella dei nati durante la seconda guerra mondial, o poco prima. Durante la nostra infanzia, la parsimonia è stata una necessità, più che una virtù. Nell’adolescenza, i genitori cercava nodi inculcarcela. Diventati adulti, divenne una virtù sempre meno apprezzata, almeno nei paesi occidentali guidati dall’esempio dell’opulenza degli USA, dediti al consumismo sin dagli anno 60.
I nostri figli e le generazioni successive hanno l’imprinting del consumismo. Negli anni 70 nasce l’ambientalismo, ma senza che venga percepito alcun collegamento con la parsimonia. Credo che tuttora per la maggior parte dell’opinione pubblica il collegamento non sia evidente. Perciò propongo le considerazioni che seguono.
Fra le aspirazioni più diffuse fra gli individui del nostro tempo vi è la crescita delle disponibilità economiche e l’arresto degli effetti del cambiamento climatico. La seconda è mutuata dalle sempre più influenti schiere di ambientalisti – spesso sostenuti da grandi multinazionali – e dovuta alla percezione che il cambiamento climatico faccia aumentare frequenza e intensità delle calamità naturali. A quanto pare non viene percepita la incompatibilità fra le due aspirazioni. Eppure, a mio avviso, basta riflettere su alcune relazioni di causa ed effetto per rendersene conto. Vediamole con ordine.
Le quantità di risorse finanziarie disponibili per le famiglie influisce sulla quantità dei consumi. Le popolazioni dei paesi evoluti come il nostro (intendo approssimativamente come tali i paesi aderenti all’OCSE) aspirano a maggiori consumi, prevalentemente indotti, di beni non di prima necessità, essendo questi ultimi alla portata di quasi tutti, con eccezione dei pochi che, per cause organizzative piuttosto che per mancanza di risorse, non vengono raggiunti dal welfare o dagli enti benefici, quali Caritas, fondazioni e associazioni varie.
L’aspirazione a maggiori consumi nasce dalla convinzione dei membri della classe media, il cui reddito si è avvicinato di più, a partire dal 2008, a quello della meno abbiente, di avere diritto a una maggiore giustizia sociale, ed è stimolata dalla pubblicità. Quanto più questa aspirazione viene soddisfatta, tanto più elevato è l’aumento del PIL. Ciò fa si che la crescita del PIL sia un obiettivo condiviso da tutti i governi.
Nel PIL, che misura, a prezzi di mercato, il valore dei beni prodotti e consumati nell’anno, entrano sia prodotti e servizi che fanno del bene a chi li consuma, quindi incrementativi del benessere della popolazione, che prodotti che non troveranno impiego e, di conseguenza verranno rottamati, e prestazioni di qualità scarsa o nulla, ad esempio quella di un impiegato che risulta presente sul posto di lavoro mentre non lo è. Dunque il PIL è una misura della quantità di beni prodotti e consumati in un anno, non della loro qualità. Ovvero, se si preferisce, è la somma di beni prodotti e consumati più sprechi di fattori produttivi, cioè capitale e di lavoro. La nostra civiltà, che ha come priorità la “crescita”, la cui unica misura è l’aumento del PIL, è costituzionalmente portata allo spreco. Questo è il capolinea del percorso delle tappe della crescita economica (ben descritto da W.W.Rostow con l’omonimo testo), che, al termine dello sviluppo, ci ha consegnati al consumismo.
Sono convinto che la parsimonia, che è la tendenza a evitare sprechi, sia l’unico rimedio che possa conciliare le due aspirazioni di questa e delle prossime generazioni. Per noi è più rassicurante convincerci che basterà, a salvarci, la “decarbonizzazione”. Ma è una illusione, perché il consumismo sta producendo altri eccessi, non tollerabili dal pianeta, oltre all’anidride carbonica che fa innalzare la temperatura: rifiuti non degradabili, sottrazione di suoli alla biodiversità, e altri non sostenibili.
La parsimonia veniva vissuta serenamente negli anni della ricostruzione postbellica, perché quella generazione era reduce da un periodo di scarsità. Oggi, stante la presenza nel mercato di ogni bene che si possa desiderare, le persone, influenzate dalla pubblicità dei produttori, ambiscono a possedere il denaro necessario a soddisfare ogni bisogno percepito, anche i più marginali. Le aspirazioni ambientalistiche non hanno la forza di contrastare tale desiderio. Perciò, per le generazioni attuali, la parsimonia è una costrizione innaturale.
Sfugge la comprensione che la crescita di un PIL che contenga la quantità di sprechi che attualmente ingloba non è sostenibile. Sembra ragionevole dedurne che occorre una miglior qualità del PIL, cioè più prodotti durevoli di utilità generale come le infrastrutture (strade, ferrovie, cura del suolo, bonifiche del territorio, recuperi di zone degradate ecc.ecc., più che mai necessarie al nostro Paese) e meno consumi voluttuari e improduttivi con alto rapporto costo beneficio (benessere).
L’anno che se è ne appena andato ci ha portato un forte stimolo a riflettere su questa situazione. Da una parte la pandemia ci ha costretti a sperimentare nuovi modelli di comportamento e i conseguenti lockdown hanno ridotto le risorse disponibili per i consumi delle famiglie. Le decisioni dei governi, volte a “ristorare” le popolazioni dai danni economici conseguenti ai lockdown e prese in permanenza dall’obiettivo della crescita, hanno ampliato la disponibilità di risorse destinate ad essere spese con gli stessi modelli di consumo di prima, cioè la stessa quota di consumi indotti e sprechi. Con l’aggravante che le risorse sono prese in prestito dalle future generazioni, con un patto stipulato evidentemente senza il loro consenso, giustificabile soltanto se le risorse sono impiegate in investimenti pubblici sostenibili.
L’anno nuovo può allora nascere con una duplice speranza:
– che il Covid ci abbia fatto capire che possono esserci altre vie per la ricerca della felicità, diverse dal consumismo, con spostamento della domanda da quella indotta a quella di beni di utilità generale;
– che i governi trovino il coraggio di darsi l’obiettivo della qualità della produzione di beni e dei modelli di consumo, cioè minori sprechi di risorse e miglior rapporto benefici/costi per le popolazioni e per l’ambiente.
La parsimonia può essere, in questa direzione, strumento e meriterebbe di diventare meno indigesta di quanto possa apparire agli eredi di una civiltà del consumo. Questo potrebbe essere l’anno di una alba dell’etica intergenerazionale. Se non ora, quando?
Roberto Falcone